Yakuza

La Yakuza non è solo la “mafia giapponese”: è qualcosa di completamente diverso, o, meglio ancora di molto più complesso, un’organizzazione legata a 400 anni di storia giapponese. Lo si intuisce anche dagli ultimi eventi di cronaca: nel 2011, quando il Giappone è stato devastato da uno dei più violenti tsunami e terremoti nella storia del paese, i primi soccorsi arrivarono proprio dalla Yakuza.

Questa non è l’unica volta in cui la Yakuza è intervenuta: nel terremoto di Kobe del 1995, la Yakuza era stata ancora una volta la prima ad apparire sulla scena e lo stesso copione si è ripetuto in altre occasioni. Un fatto che ha di certo meravigliato se si pensa alla concezione che si ha della mafia in tutto il mondo e questo ci fa capire che in realtà la Yakuza non fu mai solo una versione giapponese della mafia. Per conoscere meglio questa organizzazione, però, partiamo dal principio, da come è nata la Yakuza.  

Il codice Ninkyo

La Yakuza, un termine che si riferisce sia alle varie bande che ai membri di quelle bande, aiuta gli altri in momenti di crisi per via del “Codice Ninkyo”, un principio che ogni membro afferma di seguire, e che proibisce loro di stare a guardare mentre chiunque altro soffre.

Il braccio caritatevole della criminalità organizzata giapponese si pensa sia radicato nella loro storia dovuto essenzialmente al fatto che i membri della yakuza sono spesso stati un “rifiuto” della società: il senso di abbandono e la sofferenza secondo molti li spinge oggi ad aiutare chi è in difficoltà.

I Burakumin: gli emarginati sociali del Giappone

I primi membri della Yakuza erano infatti parte di un ceto sociale chiamato Burakumin. I Burakumin erano boia, macellai, becchini e pellettieri, tutti coloro che lavoravano a stretto contatto con la morte, uomini che, nella società buddista e shintoista, erano considerati impuri. Erano i più poveri della società e un gruppo considerato inferiore a tutti gli altri.

L’emarginazione e l’isolamento dei Burakumin era iniziato nell’XI secolo, ma peggiorò molto nel 1603, anno in cui furono scritte leggi formali per cacciare i Burakumin dalla società. Ai loro figli è stata negata un’educazione e molti di loro sono stati mandati fuori dalle grandi città, costretti a vivere in villaggi isolati. 

Come i Burakumin sono diventati la Yakuza

I figli dei Burakumin dovettero trovare il modo di sopravvivere nonostante le poche opzioni a loro disposizione. Potevano continuare i mestieri dei loro genitori oppure potevano rivolgersi al crimine.

Così l’organizzazione criminale fiorì dopo il 1603 attraverso diverse attività: per tutto il Giappone cominciarono a comparire bancarelle che vendevano beni rubati, perlopiù gestite da figli di Burakumin, mentre altri crearono case da gioco illegali in templi e santuari abbandonati.

Presto venditori ambulanti e i giocatori d’azzardo hanno iniziato a creare le proprie bande organizzate che avrebbero sorvegliato i negozi di altri venditori ambulanti, tenendoli al sicuro, in cambio di denaro per la protezione. E da quei gruppi è nata la Yakuza.

Oltre ad essere attività redditizie, i membri della Yakuza conquistarono più di questo: il rispetto. I capi di quelle bande furono ufficialmente riconosciuti dai governanti del Giappone, e venne conferito loro l’onore di avere un cognome e il permesso di trasportare delle spade. Significava che a questi uomini venivano accordati gli stessi privilegi della nobiltà. 

Com’è nato il nome Yakuza?

Ci sono varie teorie, ma quella più probabile sostiene che il nome derivi dall’unione di tre parole: ya (“otto”), ku (“nove”) e sa (“tre”), il punteggio perdente in un tradizionale gioco di carte che un tempo era controllato proprio dall’organizzazione. E in origine yakuza significava infatti “meschino”, “marginale”. 

Una famiglia criminale

Non ci volle molto prima che la Yakuza divenne un gruppo di organizzazioni criminali in piena regola, ciascuna delle quali adottava proprie abitudini e regole. Ogni membro era obbligato ad osservare severi codici di lealtà, silenzio, obbedienza e simili.

La Yakuza divenne come una famiglia per ogni membro e la fedeltà doveva essere completa. In alcune bande, ci si aspettava persino che una nuova recluta tagliasse completamente i legami con la sua famiglia biologica.

Diventare un nuovo membro significava anche coprire il corpo di tatuaggi e prendere parte a rituali, tra cui anche un cerimoniale a base di sakè. I tatuaggi non potevano essere però sfoggiati per evitare di essere riconosciuti dalla polizia.

C’erano naturalmente anche punizioni per la slealtà: qualunque Yakuza avesse disonorato il nome della banda sarebbe stato costretto a tagliare la punta del mignolo sinistro e consegnarlo al suo capo. Un gesto che un tempo aveva uno scopo ben preciso: ogni taglio ad un dito indebolirebbe la presa della spada e questo ridurrebbe le sue abilità di guerriero, spingendolo ad essere sempre più dipendente dalla protezione del gruppo.

Un business “legittimo”

Nonostante fosse un’organizzazione criminale, la Yakuza è stata a lungo tollerata in Giappone e talvolta, anche il governo ha approfittato delle loro capacità.

Il governo giapponese ha chiesto aiuto in alcune operazioni militari e, nel 1960, quando il presidente Eisenhower visitò il Giappone, il governo lo fece affiancare da decine di guardie del corpo della Yakuza.

Per anni la Yakuza ha quindi continuato praticamente indisturbata le proprie attività, che nei tempi moderni hanno incluso spaccio di droga, prostituzione ed estorsione.

Il commercio di droga in particolare si è rivelato estremamente importante per la Yakuza e fino ad oggi, quasi tutte le droghe illegali in Giappone sono importate da questa organizzazione. Il contrasto da parte del governo alla Yakuza è arrivata quando la mafia giapponese cominciò ad intervenire anche nel mondo degli affari e della finanza.  

I Jugeya

Negli anni ’80 la Yakuza cominciò a lavorare nel settore immobiliare, dove prestavano servizio per agenzie immobiliari. Venivano chiamati Jigeya ed erano assunti dalle agenzie quando queste ultime volevano demolire una zona residenziale, costruendoci nuovi edifici, ma non riuscivano a convincere il proprietario a vendere. Il lavoro di Jigeya era di convincerli con qualunque mezzo: usavano spaventarli con varie tecniche, facendo in sostanza il lavoro “sporco” per conto di grandi aziende.

La Yakuza nel mondo degli affari e in politica

Dopo il settore immobiliare, la Yakuza è passata al mondo degli affari, attraverso un sistema di estorsione nei confronti delle imprese. L’organizzazione usava comprare capitale e azioni di una compagnia per poter prendere parte alle assemblee degli azionisti, e lì ricattare le compagnie in maniera molto esplicita.

O in altri casi le aziende si sono rivolte alla Yakuza per chiedere massicci prestiti che nessuna banca avrebbe concesso loro, permettendo in cambio all’organizzazione di assumere un ruolo di controllo in società legittime. 

La Yakuza ha imparato così rapidamente a reinventarsi in nuove attività più redditizie e meno pericolose del crimine. Cominciarono a investire nel mercato azionario, pagando i senzatetto per le loro identità come prestanome. Gli anni ’80 trasformarono quindi il volto della Yakuza che abbandonò la violenza e cominciò a contare tra le sue fila banchieri e contabili, esperti immobiliari, finanzieri, ecc. La Yakuza si introdusse inoltre anche in politica: in Giappone, un certo numero di politici di alto profilo sono sospettati di aver avuto legami con l’organizzazione. Gli omicidi legati alla Yakuza si sono dimezzati in pochi anni e le nuove attività in cui era coinvolta infastidì il governo. 

Criminali con la katana

I membri della Yakuza amano essere paragonati ai samurai, dei quali riprendono una parte del codice d’onore. E persino la Katana, la spada tradizionale giapponese usata dai samurai, è uno dei simboli anche della Yakuza, che l’ha spesso usata per compiere i suoi omicidi.

La caduta della Yakuza

La prima cosiddetta legge “anti-Yakuza” fu approvata nel 1991 e rendeva illegale per un gangster della Yakuza essere coinvolto in alcuni tipi di affari legittimi.

Da allora, le leggi anti-Yakuza si sono moltiplicate: sono state istituite leggi che vietano il modo in cui possono trasferire i loro soldi, sono stati congelati i loro beni e prese molte altre misure.

L’azione del governo sta funzionando: le “iscrizioni” alla Yakuza sono considerate ai minimi storici negli ultimi anni, complice anche il numero sempre maggiore di arresti.

Una mafia “legale”

Ma l’aspetto che più lascia più sorpresi riguardo alla yakuza è il fatto che essa non si nasconde: essere affiliati alla mafia giapponese infatti non è illegale in Giappone, a patto naturalmente di non compiere azioni contro la legge. Un aspetto, questo, impensabile altrove. Le varie famiglie o sindacati in cui è divisa l’organizzazione hanno sedi e uffici nei quartieri migliori, con tanto di insegne ben in vista. Alcune famiglie hanno persino pubblicato riviste, videoclip musicali e si sono dotate di un sito internet.

Una trovata pubblicitaria?

Tutta questa pressione potrebbe essere, secondo molti, la vera ragione per cui la Yakuza è diventata improvvisamente così generosa in caso di eventi catastrofici. Si pensa infatti sia una strategia da parte dell’organizzazione di ottenere contratti per le loro imprese di costruzione per la massiccia ricostruzione che verrà, ma è difficile saperlo con certezza.

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Marco Togni

Autore

Marco Togni

Abito in Giappone, a Tokyo, da molti anni. Sono arrivato qui per la prima volta oltre 15 anni fa.
Fondatore di GiappoTour e GiappoLife. Sono da anni punto di riferimento per gli italiani che vogliono venire in Giappone per viaggio, lavoro o studio. Autore dei libri Giappone, la mia guida di viaggio, Giappone Spettacularis ed Instant Giapponese (ed.Gribaudo/Feltrinelli) e produttore di video-documentari per enti governativi giapponesi.
Seguito da più di 2 milioni di persone sui vari social (Pagina Facebook, TikTok, Instagram, Youtube).