Italiani a New York

Secondo gli ultimi studi sono quasi 3 milioni gli italiani che vivono nello Stato di New York, la maggior parte dei quali abitano nella Grande Mela. È una delle comunità più numerose degli Stati Uniti, anche se parlare di “italiani” è abbastanza complesso perché questo termine comprende diverse categorie: ci sono i nuovi immigrati, che sono italiani nati e cresciuti nel Bel Paese che negli ultimi anni hanno deciso di trasferirsi a New York, ma ci sono anche i figli degli immigrati di un tempo, di seconda, terza o quarta generazione, che in alcuni casi sono bilingue o parlano un po’ di italiano e hanno un certo attaccamento alla cultura del proprio paese d’origine, ma in altri casi hanno perso quasi completamente il proprio legame con l’Italia, pur magari continuando a mantenere rapporti affettivi con i parenti italiani e con certi aspetti della cultura. Ma se ci riflettiamo, è assolutamente normale che le nuove generazioni nate e cresciute in America si identifichino nella cultura e nella lingua americana. E questa discontinuità, questo punto di rottura tra le vecchie e le nuove generazioni è il più delle volte la causa della chiusura o la cessione di tante attività storiche italiane perché i figli o i nipoti nati in America aspirano a diventare avvocati, broker, giornalisti, informatici, ecc. e non hanno alcun interesse nel portare avanti l’attività di famiglia: per questo molti ristoranti, bar e attività di Little Italy oggi sono gestiste da cinesi e sudamericani. E ancora oggi, la maggior parte degli italiani che approda in America, così come avveniva 100 anni fa, si butta nel settore della ristorazione: pizzaioli, cuochi, pasticceri sono le professioni più in voga tra gli italiani di oggi e di ieri, perché la cucina è parte integrante della nostra cultura ed in questo campo siamo, così si dice, imbattibili. Ma se i primi italiani arrivati a New York si dedicavano quasi esclusivamente alla ristorazione, oggi c’è una nuova schiera di immigrati che si dedica ad altre professioni. Se siete curiosi di sapere cosa fanno e dove potete incontrarli, proseguite la lettura dell’articolo.

Cosa fanno gli italiani a New York

Oltre ai tanti turisti che vedrete passeggiare per la Grande Mela, molti italiani li vedrete lavorare come camerieri nei ristoranti o nei bar, soprattutto in quelli italiani e francesi. Spesso sono studenti magari fanno un corso di inglese o all’università oppure sono aspiranti attori, ballerini, artisti, ecc. e  pagano le spese facendo lavoretti saltuari, come camerieri, baristi, pr nei locali, baby sitter, ecc. Va detto che per legge non potrebbero lavorare, ma lo fanno (come tante altre comunità straniere) perché il lavoro in nero nella ristorazione è abbastanza accettato nella Grande Mela. Alcuni si fermano per una stagione, altri restano come clandestini piuttosto che tornare ad essere disoccupati in Italia. Ma tra gli studenti ci sono anche quelli “ricchi”, provenienti da famiglie benestanti che quindi pagano per loro corsi o master in università prestigiose. In fondo a New York hanno sede la Columbia e la New York University e conseguire un titolo di studio qui fa una grossa differenza sul curriculum.

C’è poi la categoria di giovani talenti o affermati artisti e creativi, che include varie professioni: make up artist, scrittori, musicisti, stilisti, fotografi, attori e professionisti nel mondo del cinema e della tv, cantanti, architetti, e così via. Dopo la ristorazione il mondo dell’arte e della creatività è quello in cui ancora essere italiano è un vantaggio ed è sempre ben visto. Basti pensare alle tante eccellenze italiane che lavorano spesso a New York: due nomi su tutti l’architetto Renzo Piano e il ballerino Roberto Bolle. Tra i tanti italiani che vivono a New York ci sono i dipendenti delle grandi aziende italiane con sedi nella Grande Mela, che operano nel settore dell’alimentazione, delle automobili, della moda, ecc.  C’è poi un grande numero di professionisti “seri”, ovvero avvocati, consulenti finanziari, broker e banchieri che hanno davvero “trovato l’America” e conducono una bella vita tra eventi esclusivi e appartamenti di lusso. A concludere la serie ci gli insegnanti e assistenti di lingua-cultura italiana che lavorano presso università o scuole private.

Come sono gli italiani di ieri e di oggi

Se vi è capitato di vedere il reality “Jersey Shore” che aveva come protagonisti degli italoamericani avete visto degli atteggiamenti tipici dei “Guido”, un termine che veniva usato per indicare la classe operaia italoamericana, ma che nel tempo ha assunto connotazioni dispregiative, soprattutto in riferimento agli italiani di seconda e terza generazione. I “Guido” sono l’equivalente del nostro “tamarro”, ovvero ragazzi un po’ cafoncelli e maschilisti, molto diversi dai loro genitori e nonni, con i quali vi consiglio di fermarvi a parlare se ne avete l’occasione. Chi è emigrato 40-50 anni fa rispecchia appieno l’idea che si ha degli italiani: sono arrivati con valigie cariche di speranza, si sono ricostruiti una vita con tanti sacrifici e se gli dite che siete italiani vedrete i loro occhi riempirsi di nostalgia e un velo di commozione. Sono generosi, simpatici, se hanno un’attività vi offriranno qualcosa da bere o da mangiare e vi sorprenderanno con la domanda più semplice ma più emozionante che vi possano fare: “raccontami qualcosa dell’Italia”. Perché molti di loro non hanno più messo piede in Italia, non parlano quasi più italiano e vi faranno sorridere con la loro parlata a metà tra un dialetto indecifrabile e l’italiano, ma con un accento americano. E si capisce che l’Italia gli manca, molto, perché per tutti loro lasciare il proprio paese è stata una scelta obbligata. E chi tra loro possiede o ha posseduto un’attività per tanti anni, resta un punto di riferimento importante per il quartiere e la comunità italiana locale; tra le vecchie generazioni c’è ancora quel forte senso di unione e di sostegno che nasce tra chi si è trovato ad affrontare insieme gioie e difficoltà.

Gli immigrati italiani di oggi invece sono molto diversi, certamente meno uniti del passato e più individualisti, ma bisogna considerare che tutto il contesto è cambiato e l’emigrazione stessa avviene con modalità e motivazioni differenti rispetto al passato. Una volta si arrivava e non sapeva nulla di quello a cui si andava incontro: non c’era internet, l’inglese era una lingua sconosciuta a tutti, non si aveva idea di com’era l’America se non per qualche racconto fatto da persone che c’erano state o letto nei libri. Per questo le comunità italiane erano così compatte e avevano  un senso all’epoca perché si arrivava, spesso insieme, in una terra straniera e l’unico modo per farsi forza e non lasciarsi vincere dalla nostalgia era rifugiarsi nella comunità di appartenenza e aggrapparsi alla propria cultura, conservando le tradizioni quasi per paura di dimenticarsi le proprie radici. E in passato aiutarsi significava anche che chi apriva un’attività assumeva preferibilmente un italiano, mentre oggi non è sempre così.

Oggi chi vuole trasferirsi a New York e spera in un aiuto da parte dei connazionali spesso (ma non sempre) ne resta deluso, ma non pensate che sia egoismo o cinismo. Chi ce l’ha fatta prima di voi ce l’ha fatta da solo, magari tra mille difficoltà, in una città che per certi versi è spietata, e scappando da un paese che troppo spesso premia chi non sa fare nulla o chi va avanti solo per le  conoscenze. E indovina un po’? Poi alla sua porta si presenta un italiano che non ha un visto e non sa l’inglese, non sa fare nulla ma spera di essere assunto solo per il fatto di essere italiano o perché conosce “l’amico dell’amico”. E ricordatevi che apparire “disperati” può essere un’arma a doppio taglio: ci sono datori di lavoro italiani che se ne approfittano, pagandovi poco e facendovi lavorare tantissime ore.

Dove vivono gli italiani

Come forse avrete letto in qualche guida, Little Italy, che una volta era il cuore della comunità italiana oggi non solo è stato quasi interamente inglobato da Chinatown e dagli altri quartieri limitrofi, ma è stato dichiarato “scomparso” perché gli ultimi dati dei censimenti non hanno registrato alcun residente di origine italiana, quando negli anni ’50 ce n’erano invece oltre 4.000. Oggi se vi capita di visitarla noterete che è più che altro un’attrazione turistica, un luogo carico di nostalgia e  di rassegnazione, dove i vecchi palazzi e le poche attività storiche rimaste evocano un’epoca ormai conclusa, che viene ricordata in occasioni speciali come la Festa di San Gennaro.   

Anche se Little Italy non è mai stato l’unico quartiere italoamericano, e nemmeno il più grande, era senz’altro il più famoso con le sua atmosfera che ricordava i paesi del sud Italia: qui si parlava dialetto, si giocava a carte, si ascoltava la musica, per lo più napoletana. E gli altri italiani? La zona di East Harlem, che oggi è conosciuta con il nome di El Barrio perché la numerosa comunità ispanica, era inizialmente abitata da immigrati italiani e per questo soprannominata “Italian Harlem”; al tempo stesso gli italiani hanno cominciato ad arrivare nel Bronx, lungo Arthur Avenue, una zona in cui ancora oggi si può respirare un’atmosfera autentica e acquistare alcuni dei migliori prodotti alimentari importati dall’Italia; altre comunità italiane si sono formate a Brooklyn, nel quartiere di Carroll Gardens, ad Astoria nel Queens e a Staten Island.

Marco Togni

Autore

Marco Togni

Abito in Giappone, a Tokyo, da molti anni. Sono arrivato qui per la prima volta oltre 15 anni fa.
Mi piace viaggiare, in particolare in Asia e non solo, e scoprire cibi, posti e culture.
Fondatore di GiappoTour e GiappoLife. Sono da anni punto di riferimento per gli italiani che vogliono venire in Giappone per viaggio, lavoro o studio. Autore dei libri Giappone, la mia guida di viaggio, Giappone Spettacularis ed Instant Giapponese (ed.Gribaudo/Feltrinelli) e produttore di video-documentari per enti governativi giapponesi.
Seguito da più di 2 milioni di persone sui vari social (Pagina Facebook, TikTok, Instagram, Youtube).